Dalla “gig economy” al “gig retailing”

Alcuni cambiamenti – che il COVID-19 ha intensificato e accelerato – portano il commercio al dettaglio all’inevitabile esigenza di imparare dalla “gig economy” e di passare al “gig retailing”. Vediamo perché e soprattutto come.

Gig economy

Prima di tutto chiariamo cosa significa esattamente “gig economy”. Si tratta di un modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo anziché sulle prestazioni lavorative stabili e continuative. Sempre più diffuso, il sistema della “gig economy” porta i lavoratori verso una nuova dimensione professionale. Per certi versi una realtà più articolata e complessa del tradizionale contratto di lavoro full time e del tanto chiacchierato posto fisso. È una trasformazione positiva? È un cambiamento negativo? No. E no. È un dato di fatto.

La gig economy è il fenomeno per il quale gli autisti di Uber sono scrittori indipendenti, i giornalisti e i reporter freelance sono baristi. È il motivo per il quale i camerieri e i rider che portano la cena a domicilio sono anche dipendenti part-time in un ufficio. La rivoluzione della gig econonomy sembra affermare a gran voce che un unico impiego non è più sufficiente. O, per dirlo in altre parole, che la forza lavoro è diventata multidimensionale. Cosa c’entra questo con il retail? Per scoprire come passare dalla “gig economy” al “gig retailing” dobbiamo ancora fare qualche considerazione.

L’accelerazione del Covid-19

I cambiamenti erano in atto già da prima del 2019, quando l’economia digitale ha cominciato a ridurre i posti di lavoro in alcune aree e a crearli in altre. Ma ciò che ha accelerato e intensificato ancor più il processo di trasformazione dell’economia del lavoro è stata la pandemia da Covid-19. La velocità e l’entità della pandemia hanno portato a un tasso di cambiamento senza precedenti per quanto riguarda le abitudini del consumatore. Si stima che quasi la metà della popolazione americana sia passata all’utilizzo dei canali digitali per veicolare i propri consumi (pymnts.com). E la maggior parte di queste persone intende mantenere le abitudini di acquisto online anche alla fine della crisi.

La rivoluzione passa attraverso i dati

Rimanendo in tema pandemia, i rivenditori che sono riusciti a mettere in campo le giuste strategie in questo momento così difficile sono coloro che hanno avuto modo di leggere i dati relativi al comportamento dei consumatori. Per esempio hanno scoperto che i consumatori non cercavano una mascherina particolare per uscire a fare acquisti ma aspettavano un vaccino per tornare alla vita di prima. Chi ha capito il valore di questo dato, ha puntato su pulizia e sicurezza, mettendo queste caratteristiche al primo posto e traendo benefici per il proprio business.

La rivoluzione digitale 3.0

Naturalmente i dati sono sempre soggetti a interpretazione ma raccontano comunque una storia. E ce n’è un gran bisogno oggi che molti rivenditori (GDO e GDS) affrontano il grande problema della mancanza di dati sugli acquisti. “Molti rivenditori – fisici, di eCommerce, startup ecc – stanno ora affrontando un deficit di informazioni” afferma un rapporto sulla Harvard Business Review. “Questo è ciò che accade quando i dati e l’intelligence derivati dalle transazioni dei clienti diventano scarsi o inutilizzabili a causa di un improvviso cambiamento dell’acquirente. Oggi, il problema è diffuso: anche le aziende che avevano accumulato grandi volumi di dati sui clienti prima del Covid-19, si trovano nella stessa posizione di partenza delle aziende che si avventurano in mercati sconosciuti”.

Come fare? Semplice. Basta abbracciare la rivoluzione digitale 3.0 cercando di creare interazioni positive con i consumatori per comprendere meglio le loro esigenze. Magari sfruttando la tecnologia, che ha già un valido sistema di raccolta di dati utili e attendibili: gli analytics. I rivenditori devono diventare degli scienziati dei dati o almeno degli attenti osservatori. Devono farsi creatori e promotori di eventi. Ed è anche necessario mettere in pratica strategie di marketing esperienziale adatto a questo particolare periodo storico (come sta facendo il mondo della moda con lo shopping su appuntamento, per fare un esempio).

Dalla “gig economy” al “gig retailing”

Insomma bisogna entrare in un nuovo tipo di gig economy, ora che il passaggio al digitale è in atto in larga scala. E adesso che il 30% della forza lavoro si muove in questa direzione (secondo Gig Economy Data Hub). Alcuni hanno chiamato questo aggiornamento della gig economy “gig retailing”. Per i rivenditori al dettaglio questo significa mettere in campo strategie vincenti ispirate al modo in cui oggi si lavora, oltre che al modo in cui si acquista. La tecnologia può essere molto d’aiuto, ad esempio, per organizzare la flessibilità del lavoro dei dipendenti e per implementare le politiche BYOD (Bring Your Own Device).

Ma soprattutto la tecnologia è indispensabile per rilevare e interpretare i dati che raccontano un mondo in cui non solo stiamo già vivendo ma in cui ci muoveremo anche nel futuro. Il passaggio al Digitale 3.0 implica quindi un’attitudine “gig” e un modo di pensare e di agire molto differente da quello a cui siamo abituati. Prima ci adatteremo e maggiori saranno i benefici per il nostro business.